domenica 18 aprile 2010

Cristian, che aspetta in carcere la verità sul suo caso - da Qui Berlino

Da quasi un anno Cristian Picchione è in carcere a Berlino in custodia cautelare. Il suo è un caso particolare, ci spiega l'avvocata che ne sta curando la difesa per il processo d'appello, Maren Burkhardt, viziato da alcune stranezze procedurali e da evidenti incongruenze nelle testimonianze dei due agenti che lo accusano.

Cristian potrebbe essere vittima di un grave scambio di persona, come lasciano pensare alcuni elementi emersi nel dibattimento.

In primo grado il trentenne romano è stato condannato a due anni e mezzo di prigione per grave violazione della quiete pubblica, tentata lesione aggravata e per aver contravvenuto al divieto di coprirsi il volto durante una manifestazione. E' accusato di aver lanciato - in tre diverse occasioni nel giro di poco più di un'ora - 17 bottiglie di birra contro gli agenti di polizia che tentavano di riportare ordine nella notte del primo maggio 2009, in occasione degli scontri per la festa dei lavoratori.

Cristian è stato condannato esclusivamente in base alle testimonianze di due agenti della polizia criminale del Land di Berlino, che quella notte erano in servizio in borghese tra le migliaia di persone presenti. I due lo avrebbero individuato in un primo momento, e poi riconosciuto in seguito. Dicono di averlo osservato, senza perderlo di vista, mentre attaccava con un fitto lancio di bottiglie una centuria della polizia.

Quel ragazzo era incappucciato, aveva un sottile foulard nero sul viso, lanciava le bottiglie che aveva in mano e che si era infilato nei tasconi dei pantaloni. I due poliziotti hanno descritto il soggetto alla centuria della polizia federale che, poco dopo, ha arrestato Cristian mentre era fermo all'angolo della strada, vicino a un'amica. Uno degli agenti che l'ha fermato ha detto che il romano non ha fatto resistenza, non ha detto niente, ma aveva una faccia molto sorpresa.

Cristian quella notte portava una vistosa kefia bianca al collo - che poi è sparita dai suoi effetti personali - e i suoi pantaloni non avevano i tasconi laterali descritti dagli agenti. E' stato possibile accertarlo grazie a un video, spuntato solo in appello per un caso fortuito. Anche l'altezza dell'aggressore non coinciderebbe con quella di Cristian, e ci sono contraddizioni nelle testimonianze sul punto da cui avrebbe lanciato le bottiglie. Uno dei due agenti, inoltre, ha compilato il verbale solo un mese e mezzo dopo i fatti - quando il giudice si è accorto che mancava dagli atti - leggendo prima quello del collega. Elementi che fanno pensare sulla "purezza" e l'attendibilità dei ricordi dei testimoni.

Nel giudizio sul processo di primo grado - che si è svolto tra alcune gravi irregolarità, come la presenza di agenti armati in aula durante alcune udienze - non si è tenuto conto delle contraddizioni emerse durante il dibattimento. Ora il processo di secondo grado è in pieno svolgimento e al giudizio mancano due udienze, quella di domani e l'ultima, mercoledì.

Lo scorso primo maggio - violento come non era stato dal 2004 - la polizia tedesca ha subito molte critiche per il modo in cui è stata gestita la piazza, sia dal centrodestra che dalla sinistra. In quella notte sono state fermate 289 persone, quasi il doppio rispetto al 2008, e 273 poliziotti sono rimasti feriti - 14 dei quali non hanno preso servizio il giorno dopo.

Le circostanze per cui Cristian Picchione è arrivato quel primo maggio a Berlino ce le racconta la compagna, Moira. Il giovane - che prima di partire prestava assistenza domiciliare ai disabili - aveva lasciato la capitale alla fine di aprile. Berlino lo attraeva ed era venuto per vedere da vicino come avrebbe potuto viverci. Da Roma Cristian aveva preso contatto con un'azienda locale, che gli aveva risposto e con cui avrebbe dovuto avere un colloquio prima di tornare a casa. A Berlino sarebbe tornato in un secondo tempo, per lavorare. Ma quel nuovo progetto di vita, appena passati i trent'anni, è naufragato in una sera.

L'arresto non ha condizionato pesantemente solo la sua vita. Da allora Moira, la compagna di Cristian, ha lasciato Roma e si è trasferita a Berlino per stargli vicina. Riescono a vedersi nel carcere di Moabit una volta ogni due settimane, con la presenza costante di un poliziotto e un traduttore che riferisce i contenuti dei loro colloqui. Nonostante tutto Cristian sta bene, dice Moira, è riuscito a rimanere forte.

A Berlino attualmente ci sono più di cinquemila persone incarcerate. L'anno scorso si sono verificati ben nove casi di suicidio, oltre a ventidue tentati suicidi. Un record particolarmente negativo se paragonato con gli anni precedenti - due suicidi nel 2008 e quattro nel 2007.

(pubblicato su Liberazione)

Articolo tratto da: Qui Berlino
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martedì 10 novembre 2009

Faccia a faccia



Mentre si celebrano i vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, un’altra barriera è ancora saldamente in piedi: quella tra Israele e Cisgiordania. Il 6 novembre alcuni pacifisti israeliani e palestinesi avevano provato a demolirne una parte, subito fermati dall’esercito. Un artista, invece, ha pensato di farne un simbolo.
Nel 2007 il fotografo Jr aveva dato vita al progetto Face2Face: ritrarre palestinesi e israeliani che fanno lo stesso lavoro e mettere la loro faccia a faccia, in formato gigante, in luoghi molto visibili. Esposta sui muri di molte città d’Israele e della Cisgiordania, oltre che sul muro stesso, Face2Face era diventata così la più grande mostra illegale del mondo.
“Quando abbiamo ideato questo progetto, nel 2005, abbiamo deciso di andare insieme in Medio Oriente per capire perché i palestinesi e gli israeliani non riuscivano a trovare un modo per vivere insieme. Abbiamo viaggiato attraverso le città israeliane e palestinesi, senza parlare molto. Solo osservando con stupore. Questa è una terra sacra per ebrei, cristiani e musulmani”, spiega Jr.
“Questa piccola regione in cui si possono vedere le montagne, il mare, i deserti e laghi, amore e odio, la speranza e la disperazione legate insieme. Dopo una settimana abbiamo tratto la stessa conclusione: queste persone hanno lo stesso aspetto, parlano quasi la stessa lingua, sembrano fratelli gemelli cresciuti in famiglie diverse. Una donna dal capo velato ha la sua sorella gemella sul lato opposto del muro. Un contadino, un tassista, un insegnante, ha il suo fratello gemello di fronte a lui. E lo combatte senza sosta. È ovvio, ma non lo vedono. Dobbiamo metterli faccia a faccia. Allora capiranno. Vogliamo che, finalmente, vedendo il proprio ritratto e quello degli altri tutti ridano e riflettano”.

Articolo tratto da: Internazionale
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lunedì 9 novembre 2009

Vent'anni dopo il muro

Chi scendeva in piazza nel 1989 aspirava a un “socialismo dal volto umano”. Ma il realismo capitalista, si chiede Slavoj Zizek, è davvero l’unica risposta all’utopia socialista?

Parlare degli avvenimenti di vent’anni fa come di un “miracolo” è diventato un luogo comune. Si è avverato un sogno, è successa una cosa inimmaginabile, una cosa che sembrava impossibile appena due mesi prima: libere elezioni, disintegrazione dei regimi comunisti, crollati come un castello di carte. In Polonia chi poteva immaginare delle libere elezioni con Lech Walesa presidente?
Un miracolo ancora più grande, però, è avvenuto un paio d’anni dopo, quando elezioni libere e democratiche hanno riportato al potere gli ex comunisti e Walesa è diventato improvvisamente molto meno popolare del generale Wojciech Jaruzelski, lo stesso che aveva schiacciato Solidarnosc con un colpo di stato militare.
La spiegazione comune di questo secondo ribaltamento parla di aspettative “immature” della popolazione, che aveva un’idea irrealistica del capitalismo: volevano la botte piena e la moglie ubriaca, volevano le libertà e le ricchezze del capitalismo democratico, ma senza pagare il prezzo di vivere in una “società del rischio”, cioè senza perdere la sicurezza e la stabilità (più o meno) garantite dai regimi comunisti.
Come hanno osservato i sarcastici commentatori occidentali, la nobile lotta per la libertà e la giustizia si è rivelata una specie di corsa frenetica alle banane e alla pornografia. Finito l’entusiasmo del giorno della vittoria, il mattino dopo la gente ha dovuto farsi passare la sbronza e sottoporsi a un doloroso processo di apprendimento delle regole della nuova realtà, cioè del prezzo che si paga per la libertà politica ed economica.
L’inevitabile delusione, quando è arrivata, ha scatenato tre reazioni, opposte o sovrapposte: la nostalgia per i “bei vecchi tempi” del comunismo, il populismo nazionalista di destra e la nuova paranoia anticomunista. Le prime due sono facili da capire. La nostalgia del comunismo non va presa troppo sul serio: più che esprimere un vero desiderio di tornare alla grigia realtà del socialismo, è una forma di lutto, un modo garbato di sbarazzarsi del passato.
Nostalgia del passato

Quanto all’ascesa del populismo di destra, non è un’esclusiva dell’est europeo, ma una caratteristica comune a tutti i paesi intrappolati nel vortice della globalizzazione. Lo strano revival dell’anticomunismo è più interessante perché dà una risposta semplice alla domanda: “Se il capitalismo è davvero migliore del socialismo, perché la nostra vita fa ancora schifo?”. La spiegazione è che non viviamo davvero nel capitalismo, perché in realtà comandano ancora i comunisti, travestiti da padroni e manager.
È ovvio che la maggioranza dei cittadini dell’Europa orientale che protestavano contro i regimi comunisti non chiedeva il capitalismo: voleva solidarietà e qualche forma di giustizia, magari rozza; voleva la libertà di vivere senza controlli da parte dello stato, di riunirsi e di parlare come preferiva; voleva una vita semplice, onesta e sincera, finalmente libera dall’indottrinamento ideologico e dalla cinica ipocrisia dominante. Come fecero notare molti analisti perspicaci, gli ideali che spingevano le persone in piazza facevano riferimento proprio all’ideologia socialista al potere: si aspirava a una cosa la cui migliore definizione è “socialismo dal volto umano”.
Ma il realismo capitalista è davvero l’unica risposta all’utopia socialista? Dopo la caduta del muro di Berlino è davvero arrivata l’era della maturità capitalistica che ha messo fine a tutte le utopie? E se anche quell’era si fosse fondata su un’utopia?
Il 9 novembre 1989 ha annunciato l’arrivo dei “felici anni novanta”, l’utopia della fine della storia proposta da Francis Fukuyama, la convinzione che la democrazia liberale avesse vinto, che la ricerca fosse terminata, che l’avvento di una comunità planetaria globale e liberale fosse dietro l’angolo, e che gli unici ostacoli al grande lieto fine hollywoodiano fossero semplici sacche locali di resistenza, dove i governanti non avevano ancora capito che era suonata la loro ora. Invece l’11 settembre è il simbolo della fine dei felici anni novanta clintoniani e annuncia l’era successiva, in cui nuovi muri spuntano da tutte le parti: tra Israele e Cisgiordania, attorno all’Unione europea, lungo il confine Stati Uniti-Messico, ma anche all’interno degli stati.
A quanto pare, insomma, l’utopia di Fukuyama è morta due volte. L’11 settembre 2001 è crollata l’utopia politica liberaldemocratica, e il crac finanziario del 2008 ha annunciato la fine della sua dimensione economica. Nel momento in cui il liberismo si presenta come antiutopia incarnata e il neoliberismo si propone come contrassegno della nuova era, in cui l’umanità ha ormai abbandonato i progetti che sono stati responsabili degli orrori totalitari del novecento, è sempre più chiaro che il vero periodo dell’utopia sono stati gli anni novanta, con la loro fede che l’umanità avesse finalmente trovato la ricetta del perfetto ordine socioeconomico.
L’esperienza di questi ultimi decenni dimostra che il mercato non è un meccanismo benigno: funziona nel migliore dei modi se è lasciato in pace a fare il suo lavoro, ma per funzionare ha bisogno di un bel po’ di violenza extramercato. La reazione dei liberisti fondamentalisti di fronte alle devastanti conseguenze dell’applicazione delle loro ricette è tipica degli utopisti “totalitari”: danno la colpa del fallimento ai compromessi accettati da chi ha messo in atto le loro idee (c’è ancora troppo intervento dello stato nel mercato eccetera), e pretendono che la dottrina del libero mercato sia attuata in modo ancor più radicale.
I nuovi pericolosi utopisti

E oggi, a che punto siamo? Vale la pena ricordare la sorte di Viktor Kravcenko, il diplomatico sovietico che nel 1944 chiese asilo politico in occidente mentre si trovava a New York e scrisse il famoso Ho scelto la libertà, la prima autobiografia sugli orrori dello stalinismo. Il libro comincia con un resoconto dettagliato della collettivizzazione forzata in Ucraina e della carestia di massa che devastò il paese. La parte più nota della sua storia finisce a Parigi nel 1949, quando Kravcenko vinse trionfalmente il processo contro i suoi accusatori sovietici, che portarono in tribunale perfino la sua ex moglie perché testimoniasse che era corrotto, alcolizzato e colpevole di violenze domestiche.
Quel che è meno noto è che subito dopo la sua vittoria, mentre il mondo lo accoglieva come un eroe della guerra fredda, Kravcenko era sempre più preoccupato per la caccia alle streghe anticomunista promossa da McCarthy negli Stati Uniti e dichiarò più volte che quel modo di combattere lo stalinismo cominciava a somigliare troppo al nemico che voleva sconfiggere. Sempre più consapevole delle ingiustizie del mondo occidentale, Kravcenko fu travolto dall’ossessione di voler cambiare radicalmente anche le società democratiche.
E così, dopo aver scritto un seguito assai meno famoso di Ho scelto la libertà, significativamente intitolato Ho scelto la giustizia, si gettò in una crociata per una nuova organizzazione della produzione industriale, che sfruttasse di meno i lavoratori. La lotta lo condusse in Bolivia, dove investì (e perse) tutti i suoi soldi per organizzare delle cooperative contadine. Schiacciato dal peso dei fallimenti, Kravcenko si ritirò a vita privata e si suicidò sparandosi nella sua casa di New York.
Oggi i nuovi Kravcenko si trovano ovunque: dagli Stati Uniti all’India, dall’America Latina all’Africa, dalla Cina al Giappone, dal Medio Oriente all’Europa occidentale e orientale. Sono diversi tra loro e parlano lingue diverse, ma sono più numerosi di quel che si pensa. E chi sta ancora al governo teme più di ogni altra cosa che le loro voci diventino sempre più forti e compatte.
Questi novelli Kravcenko vedono che le circostanze ci stanno spingendo verso la catastrofe e sono disposti ad agire sfidando ogni probabilità d’insuccesso. Delusi dal comunismo del novecento, sono pronti a ricominciare da zero e a reinventare su basi nuove la ricerca della giustizia. I loro nemici li trattano come pericolosi utopisti, ma sono gli unici a essersi svegliati davvero dal sogno utopico in cui molti di noi sono ancora immersi. Sono loro, e non i nostalgici del socialismo reale, la vera speranza della sinistra.
Slavoj Zizek è un filosofo e studioso di psicoanalisi sloveno. Il suo ultimo libro è In difesa delle cause perse (Ponte alle Grazie 2009).

Articolo tratto da: Internazionale
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giovedì 5 novembre 2009

Al di là del muro di Berlino - Vezzano

VEZZANO - Lunedì 9 novembre 2009, alle ore 20.30 a Vezzano, presso la sala della Cassa Rurale Valle dei Laghi, si terrà una serata pubblica in occasione del ventennale della caduta del muro di Berlino. La serata, organizzata dal Gruppo Giovani Interparrocchiale Vezzano nell’ambito del progetto “al di là del muro”, sarà l’occasione per presentare la mostra fotografica e bibliografica organizzata in collaborazione con la Biblioteca, che resterà a disposizione del pubblico negli orari di apertura della sede di Vezzano, fino al 21 novembre. Il progetto parte dall’idea che non sempre i muri più difficili da valicare sono quelli visibili. Ben più temibili sono i muri di non comunicazione che dividono le persone all’interno della società. Sono muri virtuali causati dalla paura di affrontare la diversità, di incontrare culture diverse o modi di vita diversi. Berlino, città divisa per decenni da un muro tutt’altro che virtuale, ha conosciuto negli ultimi vent’anni, dopo la caduta del muro un percorso di integrazione che ha visto protagoniste due culture, due società, due città molto diverse. Berlino ha saputo andare oltre questo muro e far dialogare, pur tra mille difficoltà, queste culture così diverse sviluppatesi all’ombra dello stesso muro. Il progetto “al di là del muro”, realizzato grazie al finanziamento del Piano Giovani di Zona ha visto coinvolti a partire da febbraio 2009 una ventina di giovani della valle dai 18 ai 25 anni, in un percorso di approfondimento sull’integrazione e sulle diversità che, attraverso vari strumenti (serate di formazione, momenti di incontro con migranti e diversamente abili, cineforum), ha preparato il terreno per un viaggio a Berlino. Nella trasferta Berlinese il gruppo ha avuto l’occasione di conoscere da vicino la metamorfosi di una città che è rifiorita negli ultimi vent’anni, oltre ad avere testimonianza diretta delle difficoltà di ordine sociale, politico e culturale derivate dalla riunificazione delle due Germanie. Per ulteriori informazioni e approfondimenti si può visitare il blog del progetto all’indirizzo www.progettoberlino.blogspot.com

Articolo apparso il 5 novembre 2009 su www.valledeilaghi.it, quotidiano online della Valle dei Laghi

UNA SERATA "AL DI LA' DEL MURO" - LUNEDì 9 NOVEMBRE 2009

Lunedì 9 novembre siete tutti invitati alla serata conclusiva del progetto "Al di là del muro". Non si tratta di una data scelta a caso. Proprio quel giorno cade infatti il ventennale della caduta del muro di Berlino.

Nel corso dell'incontro, organizzato dal Gruppo Giovani Interparrocchiale di Vezzano, che si terrà alle 20:30 a Vezzano presso la sala della Cassa Rurale, presenteremo la mostra fotografica e bibliografica sul nostro progetto e sulla caduta del muro di Berlino che abbiamo realizzato in collaborazione con la Biblioteca di Vezzano, e cercheremo di ripercorrere il difficile percorso fatto da questa città per ricostruire una sua identità che andasse al di là del muro.La mostra sarà comunque visitabile nella Biblioteca di Vezzano per tutta la settimana successiva. Cliccando qui potete scaricare il volantino pdf della serata.. Vi aspettiamo numerosi. Un saluto.


martedì 27 ottobre 2009

BERLINO, AVERE VENT'ANNI... STORIA DI UN SUCCESSO - da Qui Berlino

Avete notato che le foto di Berlino sono sempre mosse? Non è colpa del tempo d'esposizione, né della vostra mano poco ferma. Il fatto è che una delle caratteristiche più evidenti di questa capitale d'Europa è il suo essere in continuo movimento.

Per dirlo con le parole di Jack Lang, ex ministro della cultura francese tornato a visitare la città nel 2001, "Parigi è sempre Parigi, mentre Berlino non è mai Berlino". Dal secondo dopoguerra ad oggi - tralasciando quel che ne fu prima - la capitale tedesca si è dovuta reinventare almeno tre volte. Rinata divisa dalle macerie del nazionalsocialismo, Berlino assunse un volto diverso nell'agosto del 1961 per via di quel serpentone di cemento che ne ha deformato l'essenza per ventotto anni prima di lasciare il posto a un terzo tempo, quello dell'unità, voluta da una parte e troppo accelerata dall'altra. Nel 1910, in tempi non sospetti dunque, lo scrittore Karl Scheffler scrisse con innegabile acume che "Berlino è una città condannata per sempre a diventare, e mai ad essere". Condannata a cancellare i segni di passati rinnegati, a volta con una foga controproducente.

Indubbiamente gli ultimi 20 anni - dalla caduta del Muro, il nove novembre del 1989, a oggi - hanno prodotto una trasformazione radicale. Demografica prima di tutto: non sono cambiati solo gli edifici ma gli uomini e le donne che li abitano. Dal 1991 più di un milione e settecentomila persone hanno lasciato la città, e nello stesso arco di tempo sono arrivati un milione e ottocentomila nuovi berlinesi. Un cambiamento di volti notevole per una capitale che conta tre milioni e quattrocentomila abitanti: la metà.

In parte questo piccolo esodo in uscita e in entrata ha contribuito a sciogliere i nodi nella mentalità degli abitanti dell'ex est e ovest, per descrivere i quali sono state coniate anche due parole ad hoc, Ossis e Wessis, simboli fonetici di due universi abitudinari distanti anni luce. Eppure, nonostante le differenze e le lamentele nostalgiche di quegli abitanti dell'est che reclamano la loro Ddr, dal punto di vista sociale a Berlino non vale - a differenza del resto della Germania - la classica rappresentazione della forbice tra il ricco ovest e il povero est. Per ricchezza, educazione e sanità, i quartieri più poveri sono Neukölln, Kreuzberg e Wedding, tutti e tre dell'ovest, insieme a Marzahn ed Hellersdorf, dell'est. Stesso discorso per quelli più ricchi, tra cui ci sono Köpenick e Pankow, dell'est, insieme a Zehlendorf, a ovest.

Tra i nuovi arrivati, si vede camminando per le strade, molti sono giovani. Le analisi dei trend più recenti dicono che i berlinesi degli ultimi anni sono soprattutto francesi. Ci sono anche molti, moltissimi giovani italiani che tentano la fortuna lontano dalle paludi di casa. Ma la tradizione migratoria della città è più datata: sempre per rimanere alla seconda metà del Novecento, Berlino è stata popolata da una forte migrazione turca dalla seconda metà degli anni '50 a ovest, e da una ancora visibile ondata di arrivi dall'Asia a est - dal Vietnam, in particolare -, oltreché da alcuni stati africani vicini al regime della Ddr. Negli anni '80 arrivarono i russo-tedeschi, seguiti, dopo la riunificazione, dagli ebrei dalla Russia e dall'Ucraina, dai polacchi, gli slavi e tanti altri. Oggi Berlino tra i suoi abitanti conta cittadini da 190 stati diversi, una marmellata di culture e religioni dal sapore unico, celebrata ogni anno dal 1996 nell'affollatissima sfilata del Carnevale delle culture, durante il fine settimana di Pentecoste.

Cristiani protestanti e cattolici, musulmani, buddisti, ebrei. Ma soprattutto “senza dio”: nella capitale tedesca circa il 60% della popolazione non segue alcuna confessione. Molti di quei “senza dio”, con poca patria nella testa, arrivarono anche prima della caduta del Muro, contribuendo significativamente all'onda di energia dinamica che ha cambiato così in fretta il volto della città. Prima dell'89 a Berlino ovest si era infatti raccolta una comunità di antimilitaristi e pacifisti, gay, attivisti della sinistra extraparlamentare, artisti, tutti attirati dal basso costo della vita e dagli incentivi statali elargiti dalla Germania federale: aumenti di stipendio dell'8%, traslochi e viaggi di ritorno all'ovest ogni sei settimane pagati. Alla fine degli anni '80 circa la metà dei berlinesi dell'ovest erano sovvenzionati dal governo di Bonn. E poi chi aveva la residenza era esentato dal servizio militare: Berlino era città demilitarizzata - persino la Ddr aveva il suo ministero della difesa a Straußberg -, e non governata dalla Repubblica federale.

Dal 1989, per far spazio ai nuovi berlinesi i quartieri hanno cambiato volto, assumendo quello dei nuovi arrivati. Intere parti della città si sono trasformate e continuano a trasformarsi. Ne sono esempi il recentissimo, e controverso, cosiddetto “quartiere dei media” - ancora in parte in costruzione lungo la Sprea, il fiume che attraversa Berlino - e due quartieri simbolo della città: Prenzlauerberg, a nord del centro, e Kreuzberg, poco a sud.

Partiamo da quest'ultimo. Negli ultimi venti anni Berlino è anche diventata qualcos'altro, oltre a quello che abbiamo già scritto: «La più grande città turca fuori dalla Turchia», come ebbe a dire l'allora ministro degli esteri dei Verdi Joschka Fischer. Oggi i turco-berlinesi sono circa 200mila. Molti sono arrivati prima dell'89. Molti dopo, arrivati anche nel senso di nati, qui a Berlino. Kreuzberg è la quintessenza della Turchia tedesca, contaminata però dai “senza patria, né dio” di cui si è scritto sopra. Il risultato è un concentrato di cultura, passione politica, innovazione e tradizione, low-cost e low-budget. Kreuzberg è popolata per il 40% da immigrati, e la disoccupazione è al 20%.

Prenzlauerberg ha un'altra storia, e un altro futuro. Refugium di artisti, letterati, intellettuali, anticonformisti e asociali di ogni genere già prima dell'89, da allora è stata letteralmente ripopolata da giovani "alternativi". In 20 anni il quartiere ha subito un evidente processo di gentrificazione, visibile già dalle facciate dei palazzi e dai prezzi nei negozi dalle vetrine patinate, che abbondano. I ragazzi "alternativi" degli anni '90 sono infatti oggi cresciuti, hanno iniziato a fare figli e a guadagnare con le loro “creative industries”. E il quartiere sta crescendo con loro, sviluppandosi secondo le loro necessità.

Berlino, dicevamo, è sempre in movimento. Il suo volto cambia continuamente. Il tempo non sembra segnarla come fa con le altre città. I palazzi, le strade, le piazze. Il suo particolare processo di mutazione la porta nel tempo che ancora non c'è, invece di farne la testimonianza di epoche che non ci sono più. Con la caduta del Muro il cielo sopra la capitale si è riempito di gru. Le infrastrutture, oltreché le abitazioni, erano da ricostruire, o riunire. E così in pochi anni il debito pubblico del Land Berlino è salito - e rimasto - intorno agli attuali 60 miliardi di euro.

Grandi opere avveniristiche hanno segnato la città: da Potsdamerplatz alla Hauptbahnhof, la stazione centrale, ultima delle grandi opere pubbliche finora realizzate. E l'intero quartiere governativo, certo, reinventato dopo che il governo della Germania riunificata di Bonn decise, nel 1991, di tornare a lavorare nella capitale. Da allora con i politici, i dipendenti pubblici, i consulenti, a Berlino sono tornati anche i lobbisti, i media - che dopo la guerra erano finiti tra Monaco e Amburgo -, le banche - tornate da Francoforte -, le assicurazioni - da Colonia -, il settore della moda e del design - da Düsseldorf -, e qualcuna delle industrie che avevano iniziato a lasciare la capitale già per scelta del Reich millenario di Hitler.

Con loro è tornato il cosiddetto potere d'acquisto, che ha dato una spinta all'economia della città - ancora debole, ai livelli di Budapest, Praga o Varsavia. Berlino, e questo non è immediatamente visibile, ha saputo anche ricostruire un tessuto di piccole e medie imprese - statalizzate durante la Ddr - ad alta tecnologia e orientate all'esportazione. Insieme al vicino Brandeburgo, la nuova capitale ha puntato con successo sul finanziamento di istituti di ricerca universitari e non, pubblici e non. Per merito della ricerca scientifica è rinato un intero quartiere, Adlershof, a sudovest, oggi il più grande parco tecnologico tedesco, con l'università e 750 imprese, che danno lavoro a 13mila persone.

Come abbiamo visto c'è una sola eccezione in quel passato che scorre senza lasciar segni sulla città: il Novecento, l'unico secolo, per quanto breve, che ha solcato profondamente Berlino. Ma che quando se ne è andato ha avuto il buonsenso di portar via il suo lascito peggiore. Il Muro. Dei 167 chilometri di blocchi di cemento prefabbricati, mattoni, filo spinato, torrette di avvistamento oggi rimane poca cosa. Una paio di chilometri lungo la Sprea, tra Friedrichshain e Kreuzberg - la famosa e appena restaurata, East Side Gallery -, il tratto Muro di fronte all'ottimo centro di documentazione di Bernauerstrasse, e poco altro ancora. Forse nemmeno abbastanza per onorare la memoria delle persone - tra 125 e 206, a seconda delle stime - che persero la vita nel tentativo di superarlo.

Uscito sul domenicale di Liberazione (fonte: quiberlino)

sabato 24 ottobre 2009

"AL DI LA' DEL MURO"... ALLA FIERA DELLE IDEE

Sabato pomeriggio Anna ha presentato per noi il progetto "Al di là del muro" alla Fiera delle Idee a Levico.
La Fiera delle Idee è un'appuntamento giunto ormai alla seconda edizione, promosso dal Dipartimento Politiche Giovanili della Provincia Autonoma di Trento, per mettere in rete le esperienze realizzate nel corso dell'anno all'interno dei vari Piani Giovani di Zona del trentino. Il tema di quest'anno era "cambio generazionale e rappresentanza".
La giornata, oltre ad alcuni momenti plenari con l'intervento di Robert Jhonson e la sottoscrizione di un protocollo di intesa nell'ambito delle politiche giovanili tra Provincia di Trento e Regione Calabria, è stata organizzata in incontri ad isola.
Gli organizzatori hanno individuato otto isole tematiche, nelle quali nel corso della giornata oltre ad essere stati presentati i progetti realizzati, c'è stata la possibilità di discutere possibili idee per il futuro.
Al di là del muro è stato presentato nell'isola "incontrarsi per..." coordinata da Paolo Decarli.
Potete scaricare gli stampati della presentazione preparata per quest'occasione cliccando qui.